STARVE ACRE (2023) DI DANIEL KOKOTAJLO - IL RITORNO DEL FOLK HORROR

 

Attraverso Starve Acte (Daniel Kokotajlo, 2023) ripercorriamo uno degli scopi che hanno dato vita al progetto Cinepeep: portare alla luce opere inedite in Italia riscoprirendo il piacere della ricerca entrando in contatto con culture cinematografiche molto diverse dai fasti hollywoodiani.

Starve Acre, secondo lavoro del regista inglese Daniel Kokotajlo ( adattamento cinematografico del romanzo La voce della quercia di Andrew Michael Hurley ) ci conduce in quel sottogenere definito Folk-Horror che ha dato vita a importanti opere come The Wicker Man (Robyn Hardy , 1973) e il più recente Midsommar; il villaggio dei dannati (Ari Aster 2019) .

Starve Acre racconta le vicende di Richard e Jules e dell'elaborazione del lutto nei confronti del figlio Gordon che, dopo un periodo di comportamenti altamente problematici, muore all'improvviso per motivi che restano ignoti.

Nonostante Starve Acre sia stato inquadrato dalla critica nel panorama horror e nella logica generale del cinema di genere, ritengo che il suo aspetto più rilevante sia l'atmosfera tipica del cinema nordico riscontrabile in diverse opere autoriali come L'ora del lupo (Ingmar Bergman 1968), Le onde del destino (Lars von Trier 1996) o, per citare il cinema islandese, Godland; Nella terra di Dio (Hlynur Palmason 2022).

Nonostante Daniel Kokotajlo sia alla sua seconda opera, con Starve Acre dimostra di far parte a pieno titolo della cultura cinematografica nordica e di averne interiorizzato alcuni degli aspetti che più la caratterizzano come l'ostilità del paesaggio naturale e il forte senso di isolamento che diviene solitudine esistenziale.

Quest'ultimo aspetto è rafforzato dallo stretto legame che unisce la luce e lo scorrere del tempo: nel momento in cui la vita è influenzata da elementi così caratterizzanti il cinema non può non plasmarsi su di essi.

Abbiamo già visto in precedenti recensioni come la luce, elemento fondativo del cinema, nella cultura visiva nordica abbia un ruolo talmente fondativo da sfociare in un forte senso di estraneità o di esclusione dei personaggi dalla stessa. Starve Acre chiarisce questo punto fin dalle sue prime battute attraverso la sequenza del cavallo morente scoprendo che il male che stava invadendo la vita dei protagonisti proveniva da un'antica quercia e da uno scheletro di lepre che in pochi giorni tornerà in vita con sembianze prive di ogni empatia.

La ri-nascita di questo coniglio dalla natura demoniaca accompagna la (mancata) elaborazione del lutto per la morte di Owen e nonostante non sia la prima volta che il coniglio ci viene presentato come animale demoniaco ( si pensi a Donnie Darko – Richard Kelly , 2001) o La notte della lunga paura (William F. Claxton, 1971) in Starve Acre si carica di quel valore arcaico che da secoli ricorre nella storia delle arti (pensiamo al dipinto Young Hare di Albrecht Dürer del 1502).

Se uno dei significati del coniglio è legato alla rinascita al punto da diventare uno dei simboli della pasqua, da un punto di vista strettamente cinematografico questo passaggio catartico risulta troppo simile al finale di Rosemary's Baby; Nastro rosso a new York (Roman Polanski 1968) in quanto in entrambi i film la ri-nascita si carica di una fortissima natura perturbante ed è per questo che Starve Acre rischia di fallire non solo la sua tensione autoriale ma anche il significato finale dell'intera opera disattendendo l'ottima premessa.

Il finale è il resoconto di un intero percorso narrativo (specie per generi come l'horror e il thriller), fallirlo ha co me conseguenza il non riuscire ad apprezzarla come avrebbe meritato.

Starve Acre è un'opera consigliata al solo patto di guardarla con occhio critico…in fondo Cinepeep esiste per questo.

 

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Claudio Suriani Filmmaker